26 ottobre 2006

Anteprime Vetriolo

The departed, una storia italiana

The departed è un gran film. Erano anni che Scorsese non firmava un’opera così avvincente, così fluida che non ti accorgi neanche che supera le due ore e mezza. Il bello è che non ti accorgi che è di Scorsese, tanto la macchina da presa è discreta ed al servizio di una storia degna di una tragedia vittoriana. Non ci sono i pezzi da maestro al quale il regista di The aviator ci aveva abituato, mancano le scene madri e i vorticosi movimenti di macchina di chi ha imparato il cinema guardando i film di Max Ophuls. La musicalità del film, il suo ritmo è scandito dal montaggio, dai dialoghi, dai corpi di un nutrito gruppo di attori che sullo schermo fa scintille. E non parliamo solo dei protagonisti, il poliziotto buono e sfigato, costretto a fare l'infiltrato (Di Caprio), il poliziotto yuppie e corrotto (Matt Damon) e il criminale, folle e carismatico (Jack Nicholson). Ci sono un Mark Wahlberg da antologia (le sue battute sboccate sono fulminanti), un Martin Sheen commovente e un Alec Baldwin grasso e unto da urlo. Ritornando a parlare ancora una volta di mafia, Scorsese lo fa con un piglio diverso: complice una sceneggiatura che aggiorna l’orientale Infernal Affairs (a riprova che il miglior cinema del mondo, il più contemporaneo, è non occidentale), The departed dà modernità e complessità a un fenomeno criminale cinematograficamente inflazionato. Ci fa capire, se mai ce ne fosse bisogno, quanto sia ambigua la distinzione tra bene e male, tra buoni e cattivi, tra “noi” e “loro” (per ripetere una dicotomia cara al Presidente Bush e all’ex-presidente Berlusconi). E che il male che si nasconde (e si identifica) nelle istituzioni (polizia, Fbi, Cia) è ben più nefando del cancro che si pretende di combattere. Potrebbe essere una storia italiana, magari ambientata al Sismi.

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